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COLLEZIONE

Il Museo conserva la più importante collezione al mondo delle opere di Costantino Nivola tra sculture e dipinti, più di 200 opere acquisite attraverso successive donazioni. La scelta iniziale, compiuta dalla vedova dell’artista Ruth Guggenheim, ha privilegiato l’opera scultorea di Nivola e particolarmente la fase finale del suo percorso, caratterizzata da un ritorno alla statuaria – con la serie delle Madri e delle Vedove – e ai materiali nobili della scultura tradizionale.

A questo nucleo si sono poi aggiunti un gruppo di piccole opere in terracotta risalenti agli anni Sessanta e Settanta (Letti, Spiagge, Piscine), alcuni lavori in lamiera ritagliata e modellata degli anni Cinquanta (Antenati), una selezione della produzione pittorica e diversi modelli per progetti pubblici di varie epoche (rilievi realizzati col sandcasting e modelli tridimensionali per monumenti, in gesso e altri materiali). Il museo possiede inoltre una raccolta di opere grafiche, esposte a rotazione.

L’incontro con Le Corbusier

L’incontro con Le Corbusier, nel 1946, è per Nivola un evento fondamentale. Lo shock culturale creato dall’esilio e dal trapianto in un nuovo ambiente aveva determinato in lui l’inizio di una fase di disorientamento.

In America, il contatto con artisti e architetti europei emigrati per sfuggire al nazismo gli aveva fatto nascere dei dubbi sulle proprie qualità creative. È Le Corbusier a mettere fine a questa incertezza.

Nivola conosce il maestro del modernismo poco dopo l’arrivo di questi a New York come membro del team internazionale di architetti incaricati della progettazione del nuovo palazzo delle Nazioni Unite, e intreccia con lui un’amicizia destinata a durare fino alla morte dell’architetto, nel 1965.

Le Corbusier trascorre con Nivola il tempo libero lasciatogli dalle sessioni di progettazione dell’ONU, utilizza il suo studio di New York per dipingere, è spesso ospite nella sua casa di Long Island; nel frattempo lo inizia all’arte modernista, insegnandogli i principi fondamentali della forma.

L’artista abbandona così lo stile figurativo, sciolto ed elegante ma ancora piuttosto tradizionale, che aveva utilizzato in precedenza e dà avvio a un periodo di intensa sperimentazione.
Tra il 1947 e il 1950 realizza pochi quadri e molti disegni, ispirati al linguaggio post-cubista, all’esempio del Le Corbusier pittore e a quello di Fernand Léger, ma anche al Surrealismo: da questo lavoro di ricerca scaturiranno le sue prime esperienze nella scultura.

Studio (Natura morta), 1947 ca.

Studio (Bagnante), 1952, acquerello su carta, cm 28,5 x 37,2

Studio (Ruth e Claire con abito a strisce I) 1950 ca., acquerello su carta, cm 39,4 x 24,9

Lo showroom Olivetti

Nel 1954, con la decorazione dello showroom Olivetti, aperto al centro di New York, nella Fifth Avenue, Nivola inaugura la sua carriera di scultore per l’architettura.

Progettato dallo studio milanese BBPR, lo showroom è un ambiente ricco di fantasiose invenzioni di sapore surrealista: dalle basi-stalagmiti in marmo che sostengono gli oggetti in vendita, alle lampade-stalattiti in vetro di Murano, alla grande ruota che unisce il negozio al seminterrato, alla macchina da scrivere collocata fuori, sul marciapiede, a disposizione dei passanti.

Perfetto esempio di “sintesi delle arti” in cui architettura, scultura e design concorrono armoniosamente all’effetto generale, il progetto ha nell’opera di Nivola il suo elemento più suggestivo.
Il rilievo, lungo 23 metri, è stato realizzato con una tecnica inventata dall’artista, il sandcasting (scultura in gesso da una matrice modellata nella sabbia), e rappresenta una serie di figure semiastratte, divinità che portano nel grembo piccole figure umane e che accolgono il visitatore con ampi gesti di benvenuto.

Staccato visivamente dal pavimento verde mare e dal soffitto blu cielo per mezzo di una riga di luce, il “muro di sabbia”, con la sua superficie granulosa che ricorda la spiaggia, dà un’impressione di leggerezza e contribuisce a evocare l’immagine della natura mediterranea.

Il grande successo del progetto impone Nivola in campo internazionale come collaboratore ideale per gli architetti modernisti, e al tempo stesso sancisce l’affermazione oltreoceano del design e della creatività italiani.

Smontato nel 1969, alla chiusura del negozio Olivetti, il rilievo è ricollocato nel 1973 nello Science Center dell’Università di Harvard, per volontà del progettista Josep Lluís Sert.

Il negozio Olivetti sulla Fifth Avenue, New York, 1954. Foto H. Namuth

Bozzetto per il negozio Olivetti di New York,
1953 ca, sandcast in gesso con tocchi di policromia, cm 74,4 x 70,2 x 6,5.
Foto P. Pinna

Bozzetto per il negozio Olivetti di New York,
1953 ca, sandcast in gesso con tocchi di policromia, cm 123,5 x 76 x 10.
Foto P. Pinna

La grafica pubblicitaria

Nivola è noto oggi soprattutto come scultore, ma per oltre vent’anni è stato principalmente grafico e illustratore.
Dopo il diploma all’ISIA di Monza, dal 1936 al 1938 a Milano lavora come grafico pubblicitario all’Olivetti, una ditta in
cui, grazie alla lungimiranza di Adriano Olivetti, la comunicazione, così come il design dei prodotti e l’architettura delle fabbriche, è progettata in base a criteri artistici.

Tra i primi creatori dell’immagine della ditta insieme a Xanti Schawinsky e Giovanni Pintori, Nivola lascia una serie di manifesti e campagne pubblicitarie fortemente innovativi per l’epoca. Dopo la fuga negli Stati Uniti, nel 1939, è come grafico che l’artista si guadagna da vivere.

Dal 1940 al 1945 è art director in diverse riviste, da periodici di architettura come Interiors e The New Pencil Points, che rinnova aprendoli all’influenza del modernismo europeo, a testate di moda (You) e di cucina (American Cookery). Anche in seguito collabora in qualità di free lance a Harper’s Bazaar, Fortune e altre riviste, realizzando fra l’altro, subito dopo la fine della guerra, una serie di reportage grafici sull’Italia. Come inviato speciale di Fortune torna in Sardegna nel 1952, per documentare gli esiti della campagna antimalarica lanciata dalla Rockefeller Foundation, con una serie di vivaci tavole a colori pubblicate nel 1953.

Tavola da Olivetti, una campagna pubblicitaria, brochure, 1938; Interiors, copertina, agosto 1943

Interiors, copertina, settembre 1943

Pencil Points, copertina, maggio 1944

Nel giardino di Long Island

Nel 1948 Nivola compra una vecchia fattoria con un podere a Springs, Long Island, in una località di vacanza oggi esclusiva ma all’epoca ancora a buon mercato e frequentata da artisti come Pollock e Lee Krasner, De Kooning e Motherwell.

Per la casa di Springs progetta, insieme all’architetto Bernard Rudofsky, un giardino concepito come una serie di stanze all’aperto dove vivere, lavorare e ricevere gli amici.

Provvisto di pergole e panchine, di un solarium, di un focolare e di un forno, il giardino si trasforma presto in laboratorio creativo.
E’ qui che, tra il 1949 e il 1950, Nivola diventa scultore, sperimentando la tecnica del sandcasting, un metodo
per creare rilievi in gesso o cemento da una matrice scavata nella sabbia, da lui inventato giocando con i figli sulla spiaggia e che realizza pitture murali, sculture, decorazioni graffite. Di anno in anno, aggiunge, toglie o sposta sculture, cancella e dipinge nuovamente i murali. Oltre che un luogo di lavoro, il giardino è in sé un’opera d’arte, un
work in progress, una ricerca interminabile alla quale anche altri artisti danno il loro contributo, da Le Corbusier, che si cimenta col sandcasting, a Bruno Munari che vi lascia un suo murale, poi cancellato e sostituito come gli altri. Ma soprattutto il giardino è un ambiente per la socializzazione, in cui esercitare “l’arte di vivere”, un’esistenza in cui dimensione estetica e quotidianità si fondono con naturalezza.

La fontana “musicale” nel giardino di casa Nivola, Springs, East Hampton, 1957 ca.

Deus, 1955 ca, sandcast in gesso con inserti ceramici, cm 180 x 104,5 x 11

Figura, metà anni ’50, legno, cm 23,3 x 13 x 30,5; Figura maschile, metà anni ’50, gesso, cm 30 x 16,3 x 6,4. Foto P. Pinna

Uno scultore per architetti

Il successo ottenuto nel 1954 dal rilievo dello showroom Olivetti procura a Nivola una grande quantità di altre commissioni, lanciandolo come “scultore per l’architettura”.

In quel momento ferveva il dibattito internazionale sulla collaborazione tra arte e architettura, la cosiddetta “sintesi delle arti”: l’architettura moderna era vista come fredda e distante;
pittura e scultura potevano servire a “umanizzarla” avvicinandola al pubblico. La tecnica del sandcasting inventata da Nivola era particolarmente adatta a questo scopo: consentiva infatti di eseguire dei pannelli in rilievo che potevano essere montati a ricoprire superfici murarie anche molto vaste, come la facciata della Mutual of Hartford Insurance Company, realizzata nel 1958 a Hartford, nel Connecticut, di cui il museo conserva il bozzetto.
Le sculture erano eseguite con lo stesso materiale utilizzato per la costruzione degli edifici moderni, il cemento, e con la stessa carpenteria; trasportate nelle cassaforme servite a costruirle, potevano viaggiare con i normali mezzi di trasporto usati nel cantiere e senza particolari condizioni assicurative. Nivola puntava a una “normalizzazione” della scultura, che la privasse della sua aura di eccezionalità avvicinandola alla vita quotidiana. L’opera d’arte, divenuta parte dell’esistenza comune, doveva contribuire a migliorare la società creando un ambiente più armonioso e piacevole.

Nivola lavora alla facciata della Mutual of Hartford Insurance Company, Springs, East Hampton, estate 1957

Mutual of Hartford Insurance Company Building, Hartford (Connecticut), architetti Sherwood, Mills & Smith, 1958

Bozzetto per la Mutual of Hartford Insurance Company, sandcast in gesso, cm 80,2 x 290,2 x 6.
Foto P. Pinna

Arte e comunità

Cresciuto ai primi del Novecento in un piccolo villaggio della Sardegna, quindi trapiantato nei contesti metropolitani di Milano e poi di New York, Nivola guardava con nostalgia a un modello

di società unita, coesa e solidale, che l’avanzare della modernizzazione rischiava di distruggere definitivamente. Nel secondo dopoguerra il pensiero di Adriano Olivetti, imperniato sull’idea

di comunità come primo nucleo dello stato democratico, rafforza questo suo modo di sentire; ulteriori spunti gli sono offerti dalle teorie di Josep Lluís Sert. L’architetto catalano, con il quale Nivola aveva stretto amicizia a New York e che nel 1954 lo aveva chiamato
a insegnare alla Graduate School of Design di Harvard, propone una visione urbanistica fondata sui “centri civici”, intesi come luoghi di incontro e di aggregazione tra i cittadini.

A partire dagli anni Cinquanta i temi della comunità, della partecipazione e condivisione acquistano importanza nel pensiero di Nivola, generando opere profondamente innovative, come il Pergola village (1953), un progetto per collegare tutte le case di Orani per mezzo di pergole, e la mostra all’aperto allestita per tre giorni sempre a Orani nel 1958, nella quale il coinvolgimento dei paesani era parte integrante del progetto. In queste opere, al di là della scultura o della pittura, il vero centro del lavoro è la vita collettiva, i rapporti sociali: una visione che anticipa per qualche aspetto le tendenze dell’arte relazionale e di partecipazione degli anni Novanta e Duemila.

Nel 1953 Nivola pubblica su Interiors una serie di disegni che illustrano il progetto del “paese-pergolato” pensato per il suo paese natale, Orani. L’artista immagina di collegare tutte le case tramite pergole, trasformando le strade in spazi intimi, vivibili collettivamente dagli abitanti; la pergola è un segno che sottolinea – e così facendo rafforza – il legame sociale tra gli individui. Colpisce oggi la modernità dell’idea, che va al di là della scultura, pittura e architettura per spingersi sul terreno della vita quotidiana.

Nel suo progetto per trasformare Orani in un “paese-pergolato”, Nivola prevede al centro della piazza principale un monumento dedicato al mestiere – tipico del paese – del muratore, mestiere che era stato di suo padre e
al quale lui stesso era stato educato. Con il progetto – mai realizzato – per il monumento al muratore di Orani si inaugura la serie dei
Building blocks (blocchi da costruzione). Ispirati ai principi del collage cubista, questi sono figure composte di blocchi di cemento sovrapponibili ad incastro. Nivola aveva concepito i Building Blocks come strutture gigantesche, “alte quanto edifici”, con le quali avrebbe potuto ottenere compiutamente la fusione 

tra scultura e architettura. Pur non riuscendo a realizzarli nelle dimensioni previste, l’artista crea diversi modelli per la serie.

Nel 1958 Nivola torna a Orani per costruire la tomba della madre e del fratello. Il monumento è composto da tre placche scolpite, poggiate su tozze colonne; accanto ad esse sono infissi nel terreno, su steli metallici, due piccoli ritratti della madre (intenta a impastare il pane, simbolo del nutrimento e della vita) e del fratello (con la casacca da muratore buttata sulla spalla).
Le minuscole dimensioni dei ritratti nascono dal desiderio di evitare ogni rischio di retorica: “ogni essere umano, anche il più grande, anche il più caro, in fin dei conti è una cosa piccola. Non bisogna farne, con la memoria e col sentimento, un artificio di grandiosità”, diceva Nivola. Intorno alle sculture l’artista pianta del grano, disponendo che questo, una volta cresciuto, sia tagliato e rimanga sul posto come parte del monumento, con una probabile allusione all’idea pagana della morte e resurrezione.

Pergola Village, Vined Orani, tavola interna, Interiors, gennaio 1953

Bozzetto per il Monumento al muratore di Orani (serie Building Blocks), 1955, cemento, cm 63,5 x 68,5 x 34,5.
Foto P. Pinna

Nivola accanto alla tomba della madre e del fratello Giuseppe, Orani, 1958. Foto C. Bavagnoli

A Yale

La decorazione dei college Morse e Ezra Stiles dell’università di Yale è forse l’esempio più riuscito di dialogo tra scultura e ambiente costruito realizzato da Nivola.

Nel 1959 Eero Saarinen – all’epoca il più celebre architetto americano della sua generazione – scrive all’artista proponendogli di collaborare al progetto dei college, per i quali si era ispirato a San Gimignano e alle città medievali italiane. Saarinen chiede a Nivola non un singolo pezzo di scultura o una semplice decorazione murale,
ma “un’intera atmosfera creata dalla scultura e dal rilievo in rapporto con l’architettura.” Nivola accetta la sfida
e realizza 43 opere fra pezzi a tutto tondo, rilievi e fontane, utilizzando oltre al sandcasting la tecnica del
cement-carving (intaglio sul blocco di cemento semi-solido).

Il lavoro viene portato a termine nel 1962, un anno dopo la morte dell’architetto. Alcune grandi e di aspetto solenne, altre piccole e discrete, disseminate nel campus a diverse altezze, le sculture formano un percorso ricco di sorprese visive e di prospettive inaspettate. Eseguite in cemento come gli edifici, si inseriscono armoniosamente al loro interno, accompagnando il visitatore senza imporsi perentoriamente alla
sua attenzione. Nivola arriva qui molto vicino a realizzare il suo sogno di una piena integrazione tra scultura e architettura.

Vedute dei college Morse & Stiles, Yale University, New Haven (Connecticut). Architetto E. Saarinen, 1959- 1962

Rilievo per i college Morse & Stiles, 1961, sandcast in cemento, cm 51 x 45 x 9.
Foto P. Pinna

Bozzetto per la facciata della JHS 8, Queens, New York, 1960, terracotta a stampo, cm 75,5 x 133,5 x 27,3.
Foto P. Pinna

Gli anni Sessanta e Settanta


In questi anni Nivola realizza numerosi progetti e consolida la sua fama di scultore per l’architettura (a tal punto che verrà chiamato, nel 1963, a far parte del team incaricato di progettare il salvataggio del tempio di Abu Simbel). Perfezionando l’uso di tre tecniche (sandcasting, cement-carving e graffito a fresco) usate da sole o in combinazione tra loro, Nivola partecipa alla progettazione di edifici pubblici e privati ed aree urbane a New York e in tutti gli Stati Uniti.

Sculture e bassorilievi sono anche presentati come opere autonome in musei e gallerie.
La figura umana – riferimento costante per l’artista- viene sottoposta a un processo di semplificazione delle forme. Si definiscono nettamente due tipologie di sculture caratterizzate l’una da linee morbide, avvolgenti, l’altra da forme geometriche, con tagli squadrati e netti. Linee in rilievo e tracce di conchiglie e altre impurità della sabbia scompaiono progressivamente.
Le superfici diventano più lisce e regolari.

I legami con l’Italia si intensificano: in Sardegna fa realizzare arazzi in lana, in Toscana frequenta le cave di pietra della Versilia.
All’inizio degli anni Settanta Nivola inizia a utilizzare per le sue opere di grandi dimensioni il marmo e il bronzo, che diventeranno caratteristici dell’ultima fase della sua attività.

Seneca, da modello del 1958, bronzo, cm 50,3 x 42,5 x 19

Il Crimine e la Legge, modello per la scultura della Bronx Family and Criminal Court, 1963-1967, cemento, cm 74,8 x 52,5 x 32,5. Architetti Harrison & Abramoviz. Foto P. Pinna

Figura maschile, tappeto in lana, 1966, cm 235 x 159. Foto P. Pinna

Pittura / Scultura

Negli anni Settanta Nivola si riavvicina alla pittura da cavalletto: un modo

di pensare lo spazio, riflettendo
sul rapporto fra superficie piana e immagine tridimensionale.

La serie di grandi figure geometrizzanti è caratterizzata dai toni caldi e spenti – in voga negli anni Settanta – e dalla ambiguità tra figura e sfondo: il volume delle figure è di volta in volta negato o accentuato dalla stesura del colore che passa da un piano all’altro.

L’interesse dell’artista anche in questo caso è sulla definizione e la percezione dello spazio.
In un’altra serie Nivola rifà le stesse vedute di New York che aveva dipinto negli anni Quaranta, ma con uno stile differente: neri più profondi, contorni meno definiti e un’atmosfera più cupa, segno di uno sguardo più critico e maturo sulla “città meravigliosa” che lo aveva accolto al suo arrivo negli Stati Uniti.

Il ritorno al quadro è parte del processo di avvicinamento all’arte “pura” che Nivola compie nello stesso periodo in relazione alla scultura.

 

Ritratto di statua, 1975, acrilico su tela, cm 127 x 102.
Foto G. Dettori.

Ritratto di statua, 1975, acrilico su tela, cm 103 x 128.
Foto G. Dettori.

Pensare lo spazio

 

La ricerca sullo spazio, costante nell’arte di Nivola, lo porta negli anni Settanta
a elaborare il tema delle “stanze” in disegni, dipinti e sculture.

Opere compiute più che modelli, le stanze rielaborano l’idea dello spazio al tempo stesso fisico e simbolico del monumento a Gramsci, sottraendolo dalla sfera dell’arte pubblica per reinterpretarlo in chiave privata ed esistenziale. Semplici forme geometriche aperte sul lato frontale, le stanze hanno piccole finestre che lasciano entrare la luce modificando lo spazio.

In una poesia intitolata “Omaggio a Marcel Proust” Nivola riassumeva il significato delle stanze:

All’interno di questa stanza troverò Quello che ho
Sempre cercato, tutte le varianti del Quadrato e

Del cubo. Le infinite variazioni lineari Della
Verticale e orizzontale.

In tutti i gradi di apertura dell’angolo Troverò
Me stesso come sola forma organica. In Questo tempio

Di strutture cartesiane sospeso nel Contesto caotico
Di infinite spaccature.

Stanza del muro pregno, primi anni ’80, polistirolo e gesso, cm 24 x 31,3 x 32.
Foto P. Pinna

Luce che entra da una finestra…, 1978, tempera e matita su carta, cm 21 x 27,9.
Foto P. Pinna

Microcosmo / Macrocosmo

All’inizio degli anni Sessanta Nivola inizia ad usare la terracotta per realizzare opere di piccolo formato, viste come una forma di espressione totalmente libera, alternativa al rigore richiesto dalle opere pubbliche, soggette alla volontà dei committenti e all’esigenza dell’architettura.

I Letti, ispirati ai sarcofagi etruschi, simboleggiano, per estensione, la totalità dell’esistenza dell’uomo: la vita di coppia in tutte le sue varianti, i momenti di solitudine, la felicità e la disperazione.

Nivola li espone su basi bianche ricoperte di germogli di grano, simbolo di rinascita tradizionalmente usato in Sardegna nei riti della Settimana Santa. Dal microcosmo dei Letti, si passa con le Spiagge al macrocosmo della natura: Nivola con pochi gesti delinea paesaggi marini in cui piccole figure riposano sulla spiaggia o nuotano verso l’orizzonte.
Nella serie
Dei e Uomini le nuvole assumono la forma di divinità pagane che vegliano o incombono sui mortali inconsapevoli.

Negli anni Settanta Nivola, disilluso e disgustato dalla società contemporanea, realizza nuovi letti e spiagge, umoristici e sarcastici, spesso di aperto contenuto sessuale, e crea la serie delle Piscine, luoghi dello svago urbano in cui i corpi si ammassano e ogni rapporto con la natura è negato o distorto.

 

Letto della serie Gli abbracci, dalla brochure della mostra Nivola. Divertimenti, Galleria dell’Ariete, Milano, 1962.
Foto R. Galbraith.

Placca della serie Dei e uomini, 1963, terracotta, cm 41 x 41 x 2.
Foto P. Pinna

Letto, 1961 ca., terracotta. Foto H. Namuth.

Natura e omine, 1972, terracotta, cm 40 x 40 x 2.
Foto P. Pinna

Ite orrore, 1972, terracotta, cm 40 x 40 x 2.
Foto P. Pinna

La terra sovrappopolata, 1985 (da modello del 1972), bronzo, diametro cm 38,2. collezione Scuola media di Orani.
Foto P. Pinna

La Grande Madre

 

“Da qualche tempo in qua si va sempre più definendo nella mia scultura una forza semplice, essenziale.

Qui spirito e sensi collaborano nell’impegno di dare forma e significato alla materia. C’è una forma femminile come risultato, ma non necessariamente come punto di partenza. Il muro panciuto della casa rustica, nella mia età magica dell’infanzia, nascondeva sempre un tesoro: il pane piatto e sottile che si gonfia al calore del forno, promessa di appagare la fame di sempre.

Allo stesso modo la donna incinta nasconde nel suo grembo il segreto di un figlio meraviglioso.”
Così Nivola spiega il significato delle grandi
Madri – icone della sua tarda maturità.

Già all’inizio degli anni Settanta Nivola sviluppa quello che definisce “un appetito per il marmo e per il bronzo”: la volontà di usare i materiali nobili della scultura per avvicinarsi all’arte “pura”, indipendente dall’architettura.

Dialogo, da modello del 1987, marmo, 58,6 x 114,2 x 50.
Foto P. Pinna


Vedova, da modello del 1984, bronzo,
cm 61 x 52,7 x 6.
Foto P. Pinna


Monumenti immaginati

Dopo la seconda guerra mondiale il monumento come forma artistica viene visto con sospetto per i suoi legami con i regimi totalitari. La

statua del condottiero al centro della piazza cittadina è rifiutata come retorica e falsa. Proposte di artisti e intellettuali come l’architetto Josep Lluís Sert – legato a Nivola da un rapporto professionale e di amicizia – ripensano invece il monumento come possibile perno del centro cittadino. I nuovi monumenti, progettati su scala ambientale, dovrebbero comprendere architettura e scultura al fine di creare percorsi pieni di sorprese visive, per un migliore uso quotidiano degli spazi della città. L’arte pubblica per Nivola è innanzitutto questione di responsabilità civica, un modo per migliorare in modo semplice e concreto la vita delle persone. Afferma infatti: “Se artisti e architetti verranno meno alla sfida di rendere le città più belle, altri, meno dotati di immaginazione,
e gruppi privi di responsabilità civica continueranno a perpetrare i mali architettonici delle nostre città.” Negli anni della maturità, tuttavia, lo scultore comincia a privilegiare la dimensione utopica del monumento. Alcuni suoi progetti non vengono realizzati a causa di imprevisti, altri nascono come opere dell’immaginazione, valide al di la della possibilità di essere realizzate.
“Col tempo – afferma l’artista – ho imparato ad apprezzare la qualità utopica dell’immaginazione, quasi preferendola alla realizzazione – che comporta sempre certa inevitabile disillusione.”

Alla fine del 1963 Nivola riceve l’incarico di progettare una piazza di Nuoro da dedicare al poeta del primo Novecento Sebastiano Satta. Sarà la sua prima opera pubblica realizzata in Sardegna (l’unica altra commissione andata a buon fine sarà, a distanza di vent’anni, quella per il Palazzo del Consiglio Regionale di Cagliari). L’artista non si limita a creare un monumento tradizionale, ma con l’aiuto dell’architetto e amico Richard Stein progetta l’intero spazio, dalle panchine ai muri delle case dipinti in bianco con uno zoccolo azzurro. Invece di collocare al centro un monumento, Nivola dissemina la piazza di imponenti massi, sui quali inserisce piccoli bronzi che raffigurano il poeta nelle diverse attività quotidiane, per metterne in evidenza l’umanità. Piazza Satta è dunque uno spazio da vivere e condividere oltre che un luogo di celebrazione e memoria.

Nel 1968 Nivola inizia a lavorare a un monumento dedicato ad Antonio Gramsci da realizzare a Ales, paese natale del politico e filosofo.
Per Nivola Gramsci era “il più grande dei Sardi”: nonostante le umili origini e i problemi fisici, si era elevato grazie all’impegno e alla grandezza del suo pensiero.
Il monumento, disegnato con Richard Stein, evoca la prigione fascista di Gramsci e al tempo stesso la stanza della sua casa nella quale, durante l’infanzia, la madre lo appendeva al soffitto nel tentativo assurdo di curarlo dalla sua disabilità fisica. La porta alta solo 1,55 cm obbliga il visitatore a inchinarsi in segno di rispetto. L’assenza del soffitto è un simbolo della capacità del pensiero di Gramsci di espandersi all’infinito, in contrasto con il senso di costrizione che i due ritratti in bronzo – Gramsci bambino e Gramsci carcerato, steso sul letto della cella – trasmettono.
Per Nivola, che si sentiva spiritualmente vicino a Gramsci, il monumento non 
era una semplice celebrazione ma un momento di incontro e riflessione sul pensiero e sulla vita del filosofo di Ales.

Nel 1960 Nivola riflette, in occasione del concorso per il memoriale dedicato a Roosevelt a Washington D.C., sulla forma e il significato della bandiera americana, a quel tempo elemento ricorrente nelle opere degli artisti New Dada e Pop. Tradotta in forme tridimensionali e in scala monumentale sarebbe diventata uno spazio vivibile, al pari di quello pensato per il monumento alla Brigata “Sassari”.
Le strisce – come mosse dal vento – erano muri curvilinei, che creavano corridoi in cui i visitatori avrebbero potuto muoversi liberamente, come i migranti nella “terra delle opportunità”, verso un gruppo di alte colonne- le stelle dei cinquanta stati americani. Queste imponenti colonne, disposte geometricamente, formavano un interessante contrasto con i percorsi orizzontali delle “strisce”.
Negli anni Ottanta, stimolato dalla sua partecipazione in veste di giurato al concorso per il Vietnam Veterans Memorial sempre a Washington, Nivola torna sul progetto: ora lo pensa in marmo e vi aggiunge, tra le colonne, mini monumenti dedicati ad americani illustri. Lo spirito anarchico di Nivola e la consapevolezza delle contraddizioni della società consumistica non impedivano all’artista di pensarsi come uno dei tanti emigranti che avevano vissuto il “sogno americano”.


A partire dal 1974 Nivola torna alla pittura con una serie di dipinti che rivisitano il paesaggio urbano americano, specie di New York (le versioni precedenti del tema erano dei primi anni Quaranta). Sono opere che catturano la magica vitalità e al tempo stesso la qualità nervosa e caotica della città. “Sono determinato – scrive – a mettere tutto ciò che so e capisco del soggetto, dell’arte della pittura e della disciplina del vedere in una serie di dipinti. Sarà un duro lavoro, non un lavoro gioioso ma un approccio mesto, oggettivo, veritiero a una città spietata, realistica”.
Passanti, macchine, la vecchia New York dei palazzi di mattoni, i grattacieli di vetro e acciaio si fondono, resi attraverso un segno spesso e regolare che diventa quasi astratto.

 

Piazza Satta, 1967, Nuoro. Architetto Richard Stein.
Foto C. Nivola.


Modello per il Monumento a Gramsci, 1968 ca., legno dipinto, matita, filo di ferro zincato, argilla patinata, cm 31 x 40,1 x 68,7.
Foto P. Pinna


Modello per il Monumento alla Bandiera americana, anni 80, polistirolo, legno, cartoncino, gesso e argilla, cm 54,8 x 120,5 x 242,5



La città incredibile I, 1979, olio su tela, 152,5 x 122.
Foto G. Dettori



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